lunedì 30 maggio 2011

Zangbeto, il guardiano della notte

Gbecon, Heve, Avlo: piccoli villaggi adagiati sulle rive del corso inferiore del Mono (sud del Benin). Il paesaggio è interessante. Il fiume scorre lento, tra rive colme di mangrovie, dove qualche airone cerca riparo contro il sole. Tra un gruppo di mangrovie e l’altro si fa largo qualche villaggio di pescatori. Si tratta di Pla, originari del villaggio di Tado, culla di buona parte delle popolazioni che risiedono nel sud del Togo e del Benin. I Pla sono distribuiti lungo la costa fino al villaggio di Be, ora risucchiato nell’area urbana di Lomé. I portoghesi li hanno chiamati Popo. Il nome ha dato origine a Grand Popo (Benin) e a Petit Popo, ora Aneho (Togo), antichi centri di scambio tra i portoghesi e le popolazioni locali.



I Pla sono soprattutto pescatori di granchi e gamberetti, ma non disdegnano altre attività economiche: preparazione di olio di cocco; lavorazione di cesti  per la pesca; coltivazione di gombo, manioca e mais; allevamento di capre e piccoli maiali.
Hanno popolato il corso inferiore del Mono a partire dal XVIII secolo, migrando da Ouidah. Spostandosi, hanno portato con sé anche le loro credenze, tra l’altro il culto offerto a Zangbeto, « il guardiano della notte ».



Zangbeto, una maschera

Nominare Zangbeto come « guardiano » significa riconoscergli un’esistenza, una personalità, una funzione sociale. Per le popolazioni pla Zangbeto è tutto cio’, e molto di più. Per il visitatore, estraneo a questo contesto culturale, Zangbeto è una maschera, e niente di più.
L’inconciliabilità delle due posizioni è data dal fatto che per gli uni una maschera ha un significato, per gli altri un altro ancora.
Per la cultura occidentale moderna la maschera serve a nascondersi, per rivestire altri panni, altri personaggi. Si rimane pero’ nell’ambito delle apparenze. Ci si maschera per assomigliare a... per essere presi per...
Per l’Africano invece la maschera è un dio, un antenato. Nessuno dubita del potere trasfigurante della maschera. Rivestendosene, l’uomo si unisce all’energia extra-umana che pervade l’universo, si mette in contatto con quelle forze misteriose che lo regolano e ne trae la capacità di modificare la realtà umana, facendola evolvere a proprio favore. L’uomo diventa in questo modo sia uno spirito benevolo, sia uno spirito malefico. L’esperienza è nello stesso tempo singolare e plurale. La metamorfosi di un uomo tramite la maschera è sollecitata dal gruppo, che vive allora un’esperienza di ipnosi collettiva. La maschera diventa un medium che mette in contatto il sovrannaturale con l’umano, cancellando tutte le distanze.
Non è assolutamente fuori luogo di parlare di esperienza « estatica », in quanto uscita da sé per entrare in un altro piano, in un’altra dimensione dell’universo.
Questa funzione estremamente religiosa della maschera africana non esclude fini pratici. La maschera serve per fare osservare certe leggi, educare i giovani, placare le discordie.



Zangbeto, un guardiano

Si viene cosi’ al ruolo di Zangbeto, in quanto guardiano del villaggio.
Zangbeto è originario di Tado, come la popolazione pla. Da Tado il suo culto si è spostato in un primo tempo a Porto Novo, e da Porto Novo in tutto il sud del Benin. Lo si ritrova non solo fra i Pla, ma anche fra i Fon, gruppo maggioritario del sud del Benin, anch’esso originario di Tado.
« Zan » significa « notte ». Zangbeto è infatti un personaggio notturno. Nel buio, la maschera esce dal suo convento seminando terrore intorno a sè. Si reca nelle case dei ladri, degli adulteri, dei debitori, ingiungendo loro di riparare le loro malefatte. Le sue forme sembrano studiate per suscitare paura. Zangbeto è una grande maschera coperta di paglia colorata dalla testa ai piedi. Si muove facendo passi acrobatici, che a volte la portano ad alzarsi fino a tre metri dal suolo, per poi repentinamente strisciare come un serpente. Mormora parole  su toni vocali profondi, gutturali. Il messaggio è già chiaro per come si presenta, prima ancora che per i contenuti  espressi verbalmente.
Le fattezze di Zangbeto sono giustificate dalla sua origine mitica. Tre fratelli si facevano la guerra, contendendosi il trono del padre. Il più giovane, con un esercito molto ridotto, era assediato dagli altri due. Nella notte precedente la battaglia finale , il più giovane ha una visione. Una presenza soprannaturale gli consiglia d’infilarsi con i suoi uomini sotto la paglia e di correre contro i nemici facendo credere di essere dei fantasmi. L’inganno funziona. I due fratelli scappano ed il più giovane diventa il nuovo re. La leggenda esalta il ruolo di Zangbeto in quanto liberatore dal pericolo e protettore del più debole.
Proprio perché concepito come tale, Zangbeto è diventato oggetto di venerazione. Ma come adorarlo se non lo si puo’ vedere? Da qui allora delle uscite diurne della maschera. C’è chi chiede di poter ringraziare Zangbeto, alla luce del sole, per aver compiuto un lungo viaggio senza problemi. Oppure, tutto un villaggio puo’ organizzare un’operazione di pulizia generale. Ecco allora che si fa uscire Zangbeto, perché tenga lontano gli spiriti malevoli.



Zangbeto, una rana

La descrizione che segue riguarda un’uscita diurna di Zangbeto, avvenuta a Heve.
Il prete del culto, chiamato « Zangan », rende pubblica l’uscita. La gente comincia ad accorrere, combattuta tra l’interesse ed il timore. Zangbeto é una faccenda seria, che suscita un timore reverenziale. Ma non mancano i classici elementi della festa africana. Lo Zangbetohun si mette subito al lavoro. Si tratta della speciale orchestra di tamburi, corna e gongon, che accompagna ogni uscita di Zangbeto. Gli uomini suonano. Le donne, aiutate da qualche uomo, cantano e danzano.
Una parola del tutto particolare va spesa per dire che Zangbeto è un affare essenzialmente di uomini. Le donne non possono mettere piede nei conventi dove è custodita la maschera. Sembra che la proibizione derivi dal fatto che la donna è considerata poco discreta e quindi incapace di custodire i segreti del convento. Altra norma rituale: Zangbeto non puo’ avvicinarsi al fuoco e alle donne. Facile capire perché non si debba avvicinare al fuoco: le fiamme rappresentano una minaccia per un essere di paglia. Quanto alla proibizione di avvicinarsi alle donne, nessuno riesce a giustificare la norma. E’ cosi’ perché è sempre stato cosi’: non una parola di più, non una parola di meno.
L’uscita della maschera inizia quando lo Zangan si mette al di fuori del convento e chiama per nome i vari Zangbeto. Ci sono infatti differenti Zangbeto. A Heve escono in quattro. Si differenziano per il copricapo: corna di animale, pezzi di cuoi. Su ognuno di essi si vedono le tracce di sacrifici recenti: piume di gallina, olio di palma. Due nomi di Zangbeto corrispondono ai nomi dei principali voudou venerati nel villaggio: Heviesso, il fulmine, e Sakpata, il vaiolo. Gli altri due Zangbeto sono più generalmente chiamati « la forza della gioventù » e  « la grande potenza ».
Ogni Zangbeto è accompagnato da almeno due « Gbetovi », « figli del guardiano », giovani iniziati nella società locale di Zangbeto.
Le quattro maschere avanzano  piano piano, disponendosi in fila davanti all’assemblea riunita, che accompagna i canti del coro. In un angolo speciale, gli anziani del villaggio presenziano al buon funzionamento della cerimonia.
Si procede prima di tutto alle  « dexixo » (libagioni).
Le libagioni sono rivolte al legba, protettore del villaggio, perché non perturbi le celebrazioni. Fra i Fon, i Pla, e tutte le popolazioni del sud del Benin, non c’è celebrazione che non inizi con un omaggio reso al legba. Lo si considera perturbatore e astuto. Potrebbe offendersi se non gli si offre la giusta considerazione. Eccogli dunque riservata una grande libagione a base di mais, cola e bevande dolci. All’origine gli si offriva del miele; ma una volta fattosi raro, il miele è stato sostituito da bevande dolci. Seguono dei sacrifici a base di carne di maiale. Si è già detto che i Pla allevano una specie particolare di maiali: piccoli e neri. Dopo di che ogni Zangbeto viene a fare un gesto di adorazione nei confronti del legba. Si affida alla sua protezione, perché l’operazione di « pulizia » del villaggio produca buoni risultati.

Segue il momento spettacolare della danza. Ogni Zangbeto si esibisce da solo, accompagnato dai suoi gbetovi. Si mette al centro della piazza e comincia a roteare vorticosamente. Per la forza centrifuga la paglia si solleva aumentando la massa della maschera. I Gbetovi, gridano continuamente all’indirizzo di Zangbeto indicandogli la direzione da seguire, e con un bastone tengono lontano la gente e soprattutto -come si è già detto- le donne.
Il roteare vorticoso ha il potere di allontanare le forze malevoli dal villaggio. Girando su di sé, Zangbeto fa opera di pulizia generale.
La gente lo sa ed accompagna la danza con canti e danze. Ogni tanto si levano urla di consenso da parte di qualche donna. L’orchestra tiene il ritmo con forza.
Ritmo, tanto ritmo, come sempre capita nelle feste tradizionali in terra d’Africa. All’origine del mondo, dicono alcuni miti africani, esisteva un ritmo, che da allora accompagna il pulsare dell’universo, quasi come un fluido. Nei momenti di festa questo fluido diventa come un fiume in piena che rompe gli argini e coinvolge, o meglio  travolge tutti i presenti.

Terminata la sua danza, ogni Zangbeto raggiunge gli altri, restando in fila davanti all’assemblea.
Nessuno si muove, i canti continuano. Qualche membro della società di Zangbeto si mette al centro ed annuncia che è arrivato il momento dei « nujle-jle » (miracoli).  La parola stessa lascia intendere qualcosa di misterioso. Alcuni iniziati compiranno dei prodigi per dimostrare che Zangbeto è presente con tutta la sua potenza. Se i miracoli riusciranno, anche la sua opera di protezione del villaggio riuscirà.
Gli sguardi si fanno più intensi e timorosi.
I prodigi non si fanno aspettare. C’è chi si fa avvolgere da foglie di cactus, stringendosele al petto senza perdere neanche una goccia di sangue; chi rompe una bottiglia di birra fino a ridurla a briciole e poi se la « beve » insieme con la birra; chi appoggia con forza la propria lingua su una spada incandescente.
Prima di ogni exploit,  il candidato si inginocchia davanti ai Zangbeto domandando protezione. Intorno a lui è tracciato un cerchio con farina di mais mischiata a olio di palma. Dal cerchio una linea raggiunge uno Zangbeto. L’esecutore del miracolo si trova cosi’ in uno spazio privilegiato, sotto l’influenza potente della maschera.
Una volta che il miracolo è stato compiuto la folla grida urla di ringraziamento a Zangbeto, che si mostra davvero presente ed efficace.
Ma ecco che l’atmosfera si fa ancora più incandescente. Uno Zangbeto è messo al centro. Intorno a lui si traccia il solito cerchio di farina di mais. Di colpo tutto tace. Canti, danze, tamburi: non si sente più niente se non il dialogo, per altro incomprensibile, tra lo Zangan e Zangbeto. Siamo arrivato al momento culminante della cerimonia. Zangbeto ha danzato, purificando il villaggio; ha manifestato la sua presenza con dei miracoli. Ora si chiede a Zangbeto di manifestare la sua identità. Chi c’è sotto la maschera? chi la fa muovere? chi la rende potente?
Per sette volte la folla chiama per nome lo Zangbeto che si è messo al centro della piazza. Quattro gbetovi si chinano ai piedi della maschera e dopo la settima invocazione la sollevano di colpo. Per terra rimane un piccolo mucchio di foglie sul quale passeggia una rana. La gente urla di gioia. Zangbeto si è mostrato una nuova volta. Ora puo’ ritornare al convento dove potrà stare tranquillo per qualche tempo, finché il villaggio avrà ancora bisogno di lui.
La folla si separa. Nessuno appare meravigliato che Zangbeto si sia presentato sotto le sembianze di una rana. Altre volte si presenta come serpente, uccello, o vaso per le offerte rituali. Anzi la gente afferma che era proprio la rana che ha fatto danzare Zangbeto durante tutta la cerimonia.


Conclusione

Sarebbe troppo facile giudicare tutto cio’ come banale, o -peggio ancora- come primitivo. E comunque non saranno certo tali giudizi a provocare il tramonto di una maschera, che conserva intatta la sua vitalità.
Appare più doveroso domandarsi perché Zangbeto è talmente attuale, che è impossibile percorrere il sud del Benin senza imbattersi in un suo convento o, addirittura, in una sua uscita. La risposta è da cercarsi probabilmente nel naturale bisogno di un gruppo umano di regolare il problema della devianza. Cosa fare perché chi ruba sia riconosciuto colpevole, sanzionato e, soprattutto, non rubi più? Cosa fare nei confronti degli adulteri? Cosa fare nei confronti di un villaggio minacciato di perdere la sua coesione, a causa di possibili cattiverie? I Fon, i Pla, ed altre popolazioni si sono imbattute in Zangbeto e lo hanno adottato come guardiano, sentinella, censore, giudice e poliziotto. Un guardiano forse a momenti troppo zelante. A Porto Novo infatti è stato sospeso per diversi anni perché accusava di furto alcuni innocenti. Ma comunque un guardiano efficace. La prova: queste popolazioni hanno conservato la loro coesione. Le devianze appaiono poste ben ai margini della vita quotidiana.
Visto il ruolo sociale di Zangbeto, non c’è da sorprendersi se il suo volto non è umano, ma mitizzato nelle forme di qualche animale o di qualche oggetto sacro. La giustizia deve essere al di sopra della parti. L’alterità del giudizio di Zangbeto  è garantita dal fatto che chi anima la maschera è ben altro che un uomo. Dunque Zangbeto: una giustizia per gli uomini, ma non di uomini. In cio’ sta la sua forza e la sua -osiamo dire- attualità. Quante volte le nostre società si dibattono davanti al problema dell’imparzialità della giustizia! I problemi sono comuni, ed anche le risposte sono comuni, visto che tutte tendono a trovare una giustizia al di sopra della parti. Proprio per questo motivo le popolazioni del sud del Benin sono fiere del loro Zangbeto. Senza opporsi ad altri modi di regolare la giustizia, sanno che possono continuare a dar fiducia a Zangbeto. La sua giustizia è sicuramente al di sopra della parti. E la sua potenza è ben visibile. Perché allora abbandonarlo?

Roberto CEREA,1997

5 commenti:

  1. ho letto di zangbeto con molto interesse. Un mio caro amico ebbe modo di assistere ad una di queste cerimonie (un viaggio peraltro organizzato proprio da Transafrica). Ebbene uno Zangbeto delle dimensioni di un uomo, danzò vorticosamente per tutto il tempo , alla fine gli assistenti dello Zangbeto gli si avvicinarono e piano piano incominciarono a togliere l'involucro di paglia e sotto c'era ..... SOLO un piccolissimo Zangbeto con un grande fallo di legno. Magia ? che altro ? L'amico che assistette mi ha detto di non porsi più la domanda!inutile secondo lui. Lo spettacolo era stato grandioso !!! Credo che prima o poi farò anch'io un viaggio nella magia di mamma Africa.
    Francesca

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  2. Questi riti arcaici sono davvero di grande fascino. Grazie per averli resi, oltre che belli, anche comprensibili!

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  3. sarei molto curioso di vedere qualche immagine in più di questo rito...molto interessante ed insolito.
    richi

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  4. Salve, purtroppo si leggono cose sbagliate della cultura beninese perché poi i beninesi in Italia sono pochi e vi raccontano cose sbagliate gente del togo o della nigeria... Per esser semplice, vi chiedo di andare su Wikipedia a cercare la vera storia... Io sono Fon beninese del sud però niente di ciò che è scritto li è vero... Lo zangbeto è tipicamente di Porto-Novo e basta.. Non confondere gli origini dei fon alla realtà.. Per finire, tutto ciò che leggo della cultura beninese in lingua italiana è tutto falso... Andate dai beninesi a sentire le vere storie. Grazie. I nigeriani o togolesi o ghanesi vi mentono sulla cultura beninese

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