mercoledì 1 giugno 2011

I funerali Ashanti, celebrazioni piene di vita


Chi si trova a percorrere le vie di Kumasi di sabato, è sicuramente sorpreso dal numero di persone vestite con tessuti color rosso e nero.  Sorpreso anche di sapere che vanno tutti a qualche funerale organizzato qua e là in città ed in periferia. Sì, perché sabato è giorno di funerali a Kumasi
 ed ogni sabato c’è sempre qualche defunto da commemorare in una città di 500.000 abitanti.
Ma procediamo con ordine. Presso gli Ashanti seppellimento e funerale non coincidono.
Una persona defunta merita sia un giusto seppellimento che un onorevole funerale.




La sepoltura

Quando una persona  muore, é lavata e vestita in una maniera adatta alla sua età, sesso e situazione sociale. Il suo corpo è disposto in modo da poter ricevere l’ultimo omaggio di parenti e conoscenti. Mentre  gruppi di familiari e di amici sfilano davanti al defunto, gruppi di donne, cantano le sue virtù e le sue azioni.
La cerimonia dura solo qualche ora. Dopo di che il defunto è deposto nella bara. Solo i parenti più stretti possono assistere a questo momento. Nella bara sono posti anche dei doni: vestiti, soldi per aiutare il defunto nel lungo viaggio che lo aspetta verso la terra degli antenati, chiamata Nananom.
L'ultima persona a porre dei regali nella bara è la vedova o il vedovo.
Il lutto dura non meno di nove giorni. Giorni di digiuno, da cui sono esentati solo i nipoti.


Rappresentazione della morte

Gli Ashanti credono che la morte sia la logica conseguenza dell'esistenza. La vita porta con sé la morte, come un frutto giunto a maturità. La morte dunque intesa come il compiersi di un’esistenza. Da qui molti proverbi sulla morte: « La morte è come un arcobaleno che circonda il collo di ciascuno »; « Quando Odomankoma, il Creatore, ha creato le cose, ha creato anche la morte ».
Gli Ashanti credono inoltre che la morte non rappresenta la fine dell'esistenza. Ritengono che una parte dell'uomo, l' okra (anima) sopravvive dopo la morte, entrando a far parte del mondo degli antenati. La morte causa un cambiamento: da una vita fisica, terrestre si passa ad un'altra vita , migliore. In quest’altra vita, non c'è sofferenza, fame, inferno.
La morte é per questa ragione considerata come un cammino verso il mondo spirituale dove vivono gli antenati, ma a condizione però che una persona abbia condotto una vita dignitosa. Nel caso contrario l’anima del defunto non è ammessa in quest'altro mondo ed ha bisogno di ri-incarnarsi per condurre una vita degna di onore.

Detto ciò la morte non è comunque considerata un bene. La morte di un uomo rappresenta una perdita per la società che si sente scossa nel fondamento della sua esistenza, minacciata dalla presenza di forze indeterminate e malevoli.


Il funerale


Il rapporto ambivalente degli ashanti nei confronti della morte si riflette in occasione della celebrazione del funerale, il cui giorno non corrisponde al giorno della sepoltura.
Il funerale può essere celebrato giorni, settimane, mesi o anche anni dopo la morte e la sepoltura. E' comunque costume osservare l'8°, il 40° e l'80° giorno anniversario della morte come giorni di lutto. Questi giorni sono osservati indipendentemente dalla data del funerale.
Nella tradizione ashanti i giorni  in cui si celebravano i funerali erano il lunedì ed il mercoledì. Ad essi è stato sostituito il sabato, giorno in cui i lavoratori possono più facilmente essere disponibili.
La data del funerale è fatta conoscere da speciali annunciatori che si recano nei vari punti strategici per diffondere la notizia. Attualmente si fa uso anche dei moderni mezzi di comunicazione sociale: soprattutto giornali e radio.
Ma veniamo alla cronaca, che meglio aiuta a capire lo svolgimento di un funerale ashanti.
Il 9 novembre 1996 si è tenuto il funerale di Obaapanin Adwoa Serwaa Akoto, una regina madre e dunque la sorella maggiore di un capo ashanti, in funzione nella periferia di Kumasi.
Il funerale comincia verso mezzogiorno, una volta che i familiari hanno preso posto. I figli e le figlie, vestiti unicamente con tessuti di color rosso,  portano fibre di rafia ai loro gomiti per significare che con la morte della loro madre sono diventati fragili come la rafia, senza nessuna protezione. I loro capelli sono disordinati. Hanno fili d'erba in borsa per indicare che non hanno più niente da mangiare.
Prima di prendere posto hanno attraversato il villaggio tre volte versando lacrime per manifestare pubblicamente il loro lutto.
Le sedie intorno a loro sono ancora vuote. Sono disposte sui quattro lati della piazza, in file parallele, come per formare una platea. A giudicare dal numero delle sedie, qualche centinaio, si può immaginare che si attende tanta gente.
Nei cortili che circondano la piazza, dove si svolgerà il funerale, ferve una grande animazione. Gruppi di giovani, in uniforme color celeste, preparano bevande e bicchieri che la famiglia del defunto offrirà a tutti i presenti. Questi giovani rappresentano il servizio d’ordine dei funerali. Per caratterizzarli sono gli unici che non indossano tessuti rossi o neri.
A poco a poco arrivano gli invitati. A parte qualche raro caso, non esiste un vero e proprio invito ufficiale. Chiunque si sente legato al defunto viene e si unisce ai presenti per celebrarne la memoria. L’importante è osservare i riti d’uso. Chi arriva è accolto all’entrata della piazza da qualcuno della famiglia.  Si presenta. Riceve il benvenuto e, seguendo il parente del defunto, offre la sua stretta di mano a coloro che l’hanno preceduto e si sono già istallati nelle rispettive sedie. Se arriva un gruppo di persone, si dispongono in fila, prima gli uomini e poi le donne, e compiono la stessa operazione di stringere la mano a tutti coloro che li hanno preceduti. A volte si tratta di stringere la mano a qualche centinaio di persone. L’operazione  può durare una buona mezz’ora.
Una volta salutati i presenti i nuovi arrivati si siedono e si vedono offrire delle bevande, secondo la tradizione africana che prevede sempre l’offerta di una sedia e di un bicchiere d’acqua ad ogni ospite.
Progressivamente l’animazione si fa più intensa. Su due lati della piazza si sono disposti dei gruppi di musicisti: gli uni suonano ritmi tradizionali, gli altri ritmi più moderni. Ogni gruppo ha i suoi strumenti, che più si addicono alle musiche eseguite. Da una parte strumenti ritmici, ed in particolare tamburi, foderati anch’essi con panni rossi e neri; dall’altra chitarra elettrica, basso e tastiera elettronica. Il clima si addice di più ad una festa che ad un funerale, cosi come sarebbe inteso da uno sguardo occidentale. Gruppi di danzatori si esibiscono al ritmo delle musiche tradizionali. Le danze più praticate sono: Adowa, Kete e Nwomkro. Tratti caratteristici di queste danze: piccoli passi, oscillazioni del collo, gesti delle mani e delle braccia, riverenze con le ciglia degli occhi, tremori del tronco. Tutti movimenti delicati ed allusivi al corteggiamento sentimentale.
Su un terzo lato della piazza alcune persone sono incaricate di raccogliere le offerte dei presenti.
Un proverbio ashanti proclama: « Ognuno dà una mano a portare il peso del funerale » (Ayi woso no aba wabaw). Cioè, l’organizzazione di un funerale comporta grosse spese; chi partecipa da un contributo economico per la riuscita della festa. Infatti, i vari partecipanti si alzano a turno e consegnano un’offerta ai tesorieri, i quali rilasciano una ricevuta che riporta la foto della defunta, il suo nome ed i sinceri ringraziamenti della famiglia.
I canti sono interrotti di tanto in tanto da qualcuno che proclama i nomi dei donatori e l’ammontare dell’offerta. I presenti ascoltano e si lasciano sfuggire esclamazioni di sorpresa se si annuncia l’elargizione di qualche grossa somma.
Tra canti, danze e offerte la festa continua, interrotta ad un certo punto dal tripudio generale che accompagna l’entrata del capo villaggio. E’ accompagnato da tutti i segni della regalità ashanti: oro in testa e sulle braccia; un parasole multicolore fatto roteare sulla sua testa; uno stuolo di cortigiani che cantano le sue lodi accompagnati da tamburi; un vecchio archibugio che screpita qualche sparo onorifico. La gente si alza in piedi ed agita fazzoletti. Il capo percorre i quattro lati della piazza, rispondendo alle acclamazioni con il tradizionale saluto ashanti,  alzando cioè due dita della mano destra come se facesse un segno di vittoria.
Terminato il suo giro d’onore prende posto vicino ai parenti della defunta, essendo anche lui uno dei figli della defunta. Contrariamente agli altri parenti non porta però segni di lutto, tranne un piccolo peperone rosso che uno dei suoi assistenti gli porge perché se lo metta fra i denti. Il peperone rosso  sta a significare che la morte della madre l’ha talmente prostrato da farlo piangere fino ad avere occhi rossi come un peperone.
Ormai la festa è arrivata al suo apice. La massa dei presenti offre un colpo d’occhio eccezionale: centinaia di persone  vestite di rosso e nero. Il nero prevale. E’ il colore dei conoscenti. Mentre il rosso è caratteristico di un rapporto di parentela con la defunta. Tutti danno l’impressione di una grande eleganza e di una altrettanto grande dignità. La maggior parte resta seduta; alcuni si alzano, specialmente le donne, per unirsi ai gruppi di danzatori. I generi musicali si alternano, ma  qualche volta i due gruppi suonano contemporaneamente offrendo una sensazione di piacevole cacofonia.
Sembra però che manchi ancora qualcosa perché la festa sia davvero completa. Infarti, quando i nuovi arrivi si sono fatti rari, ecco che avanza una processione quasi regale di giovani che portano in testa e fra le mani ricchissimi doni. Si tratta dell’adosoa, una spettacolare processione  che esalta l'apprezzamento nei confronti del defunto  da parte di coloro che gli sono riconoscenti, particolarmente i vedovi, le vedove, i generi e le nuore. Nel caso del funerale di Obbapanin Adwoa Serwaa Akoto sono  le spose dei figli che offrono regali ai mariti, come omaggio reso alla loro madre. Si contano tante adosoa quante sono le spose dei figli. Ognuna ha fatto le cose in grande. Al primo posto viene una ragazza che porta su un vassoio dei pacchetti di banconote della moneta locale. A giudicare dalle dimensioni del pacchetto e dal valore delle banconote, si tratta sicuramente di almeno un milione di cedis. Dopo i soldi vengono enormi bottiglie di liquore, tessuti pregiati, profumi, gioielli in oro, ed anche un montone, che arricchirà il banchetto serale. Chiude il corteo un gruppo di tamburinisti e di danzatrici, chiamati specialmente per l’occasione. Le danzatrici sono tre: un’adulta e due bambine. Sono vestite con panni che ricoprono unicamente il seno ed le anche. Braccialetti in oro ricoprono testa, braccia e caviglie. Il gruppo gira intorno alla piazza fermandosi di tanto in tanto per far contemplare i doni. Le danzatrici ne approfittano per lanciarsi in qualche passo di danza. Buona occasione per raccogliere qualche offerta, deposte sulla loro fronte. Il giro termina davanti ai parenti prossimi della defunta. Vengono loro offerti i doni, accompagnati da discorsi di omaggio. I gioielli sono subito messi al collo dei figli, che li ricevono con legittima riconoscenza.
I vari cortei si seguono con calma, mai più d’uno alla volta in mezzo alla piazza. Quando tutti sono passati, le donne presenti si alzano in piedi e si stringono intorno alle nuore, protagoniste dell’offerta dei regali. Sono portate in trionfo, per aver mostrato tanta riconoscenza dei confronti della defunta. Vista la ricchezza dei regali si può capire come mai tra la sepoltura ed il funerale possano passare anche degli anni. Si tratta di mettere da parte i soldi necessari per la realizzazione di una festa, che sia la più grandiosa possibile. Occorrono dunque del tempo perché ciò sia possibile. Certo, non tutti i funerali sono cosi ricchi, ma è altrettanto certo che ogni famiglia fa il massimo per onorare i suoi defunti.
Dopo l’ adosoa la festa volge al termine. E’ ormai l’ora del tramonto. Il gruppo di musica tradizionale smette di suonare, facendo spazio alla musica moderna ed ai giovani che si lanciano nelle loro danze. Gli adulti lasciano alla spicciolata. Qualcuno prolunga la sua presenza nella casa dei familiari della defunta, condividendo con loro la cena. Altri si fermano nei « chop bar » per scambiare qualche conversazione. I ragazzi del servizio d’ordine raccolgono le sedie e mettono in ordine la piazza in modo che la vita del villaggio possa riprendere normalmente il suo corso l’indemani.

I funerali ashanti, festa dei morti e festa dei vivi.

Festa dei morti prima di tutto, perché se ne celebra la memoria e le virtù. Se ne fissa una volta per sempre il ricordo, che sarà poi sublimato nel culto degli antenati. Un defunto che ha ricevuto un buon funerale diventa definitivamente un antenato, estensione della famiglia nel regno dei defunti dove però nessuno è del tutto morto. La vita cambia di stato, di modo d’essere, ma è pur sempre vita.

Festa anche dei vivi. La presenza di parenti e conoscenti celebra l’unità di un gruppo e la sua forza malgrado le avversità. I doni,  quelli offerti alla famiglia organizzatrice e quelli offerti dai parenti acquisiti ai parenti del defunto, celebrano la capacità di essere riconoscenti gi uni gli altri, e dunque i legami affettivi che come il sangue mantengono vivo il gruppo.

Insomma, festa della vita, perché la vita continua. Continua nell’ ‘’al di là’’, nella  terra degli antenati, chiamata Nananom, e continua nell’ ‘’al di qua’’, fra coloro che continuano a percorrere i loro passi su questa terra. La vita è più forte. Con i loro funerali, gli ashanti lo gridano alto e forte, esorcizzando tutte le paure che possono sorgere davanti ad un avvenimento, che sembra far traballare le basi della società. Ripetendo settimanalmente queste celebrazioni la comunità ashanti prepara i suoi membri a compiere questo passo, in modo che nessuno vi arrivi impreparato.
Dice la saggezza ashanti: ‘’Non una sola persona sale sulla scala della morte’’ (Owu atwerie obaakomfo). Ognuno è chiamato a ‘’valicare la soglia’’. La solidarietà nella fine, che poi non è la fine di tutto, diventa l’occasione di una solidarietà nella preparazione di un passo che ognuno ha da compiere personalmente. 
Roberto CEREA

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